In Italia le riforme servono per stravolgere regole codificate e collaudate, che invece dovrebbero essere solo modificate, aggiustate, in funzione del variare delle nuove esigenze, al variare della società, delle tecnologie e di un diverso comune sentire. Invece le regole vengono stravolte in nome di un riformismo a tutti costi; conquiste sociali, di civiltà, faticosamente acquisite nel corso degli anni, frutto di dure battaglie, vengono spazzate via in nome della voglia di fare le riforme a tutti i costi.
Per anni i sindacati hanno difeso i tutelati, i lavoratori, chiedendo per loro sempre maggiori garanzie, irrigidendo, così,in maniera insopportabile il mondo del lavoro, tanto da arrivare paradossalmente a una tutela esasperata anche di coloro che tanta voglia di lavorare non hanno e che pensano che tutto sia dovuto e nulla si debba alla società, come un diritto divino, confondendo i diritti naturali con i diritti sociali e dimenticandosi di battersi anche per coloro che tutelati non sono. Questo stato di cose, alla fine, ha portato ad una reazione incontrollata. Si è avuta la necessità, la richiesta, di una maggiore flessibilità del mondo del lavoro, in modo da aggiungere la meritocrazia nella valutazione dei lavoratori. Ma come al solito in Italia ci si lascia prendere dalla demagogia e coloro che hanno il compito di fare le leggi, in nome di un incontrollato riformismo, stravolgono, invece di riformare, le regole e allora si passa da una esigenza di flessibilità alla più deleteria precarietà. La flessibilità deve essere un metodo per favorire la meritocrazia, per incentivare chi ha più voglia di lavorare e penalizzare chi non ne ha tanta di voglia. E la flessibilità alla fine è diventata precarietà e questa blocca l'economia. Se i giovani non hanno la speranza del futuro, non spendono, non comprano le auto, non mettono su famiglia, non comprano casa, ecc. Il lavoro stabile dà sicurezza e la flessibilità nella sicurezza del lavoro dà incentivazione, dando il giusto riconoscimento alla meritocrazia. La precarietà, invece, dà insicurezza, blocca l'economia e porta alla recessione.Non confondiamo la flessibilità del lavoro con la precarietà del lavoro! Si alla flessibilità interpretata come meritocrazia; no alla precarietà vista come modo per licenziare coloro che non hanno tanta voglia di lavorare e che dovrebbero essere penalizzati in termini economici, anche drammaticamente, ma non licenziati, se non per esasperazione.
Per anni i sindacati hanno difeso i tutelati, i lavoratori, chiedendo per loro sempre maggiori garanzie, irrigidendo, così,in maniera insopportabile il mondo del lavoro, tanto da arrivare paradossalmente a una tutela esasperata anche di coloro che tanta voglia di lavorare non hanno e che pensano che tutto sia dovuto e nulla si debba alla società, come un diritto divino, confondendo i diritti naturali con i diritti sociali e dimenticandosi di battersi anche per coloro che tutelati non sono. Questo stato di cose, alla fine, ha portato ad una reazione incontrollata. Si è avuta la necessità, la richiesta, di una maggiore flessibilità del mondo del lavoro, in modo da aggiungere la meritocrazia nella valutazione dei lavoratori. Ma come al solito in Italia ci si lascia prendere dalla demagogia e coloro che hanno il compito di fare le leggi, in nome di un incontrollato riformismo, stravolgono, invece di riformare, le regole e allora si passa da una esigenza di flessibilità alla più deleteria precarietà. La flessibilità deve essere un metodo per favorire la meritocrazia, per incentivare chi ha più voglia di lavorare e penalizzare chi non ne ha tanta di voglia. E la flessibilità alla fine è diventata precarietà e questa blocca l'economia. Se i giovani non hanno la speranza del futuro, non spendono, non comprano le auto, non mettono su famiglia, non comprano casa, ecc. Il lavoro stabile dà sicurezza e la flessibilità nella sicurezza del lavoro dà incentivazione, dando il giusto riconoscimento alla meritocrazia. La precarietà, invece, dà insicurezza, blocca l'economia e porta alla recessione.Non confondiamo la flessibilità del lavoro con la precarietà del lavoro! Si alla flessibilità interpretata come meritocrazia; no alla precarietà vista come modo per licenziare coloro che non hanno tanta voglia di lavorare e che dovrebbero essere penalizzati in termini economici, anche drammaticamente, ma non licenziati, se non per esasperazione.
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