La mostra di fotografie di Thomas Ashby, inaugurata sabato sera presso il Museo Archeologico di Teramo, riporta all'attenzione il capitolo dei viaggiatori stranieri in Abruzzo, o negli Abruzzi come una volta si diceva, e in modo particolare una viaggiatrice che
all'inizio del secolo, quasi in contemporanea con Ashby, percorreva le strade della nostra regione, Anne Macdonell, che una volta tornata a Londra, in questa città pubblica un libro di viaggio dal titolo “In the Abruzzi. With twelve illustrations after water-colour drawings by Amy Atkinson”, volume tradotto dall'inglese la prima volta in italiano nel 1991 a cura di Gisa Taurisani, che avemmo l'onore di presentare a Teramo nell'ormai lontano 1992, grazie alla disponibilità degli amici sulmonesi Franco Cercone ed Enzo Accardo. Vi trascivo le prime pagine di questo straordinario volume, dove la nostra terra è descritta in modo romantico e disincatato, dove non compaiono più i briganti ma gente laboriosa e accogliente: “Quando si attraversano i suoi confini irregolari [Abruzzo], l'uomo ritrova se stesso appena ha superato la prima delle numerose difese naturali che l'Abruzzo oppone alla vita moderna. Se ti addentri appena un po', dai pendii più alti delle tre piramidi del monte Velino scorgerai la meraviglia di questa terra ed il terrore che nello stesso tempo essa suscita: catene di montagne che si susseguono ed una barriera dopo l'altra isolano valli da altre valli e rendono estranea, l'una all'altra, la gente degli altopiani e delle pianure. Le catene montuose e i loro contrafforti, incappucciati di neve per oltre sei mesi l'anno, con le cime che non perdono mai la loro corona di bianco, corrono parallele, s'incontrano e si intersecano per formare una rete intricata di ostacoli che la natura ha creato mediante improvvisi cataclismi nelle sue imprevedibili sfide. Qui l'uomo non è stato mai conquistatore, ma si è aggrappato soltano al suo ambiente con ostinata e tenace pazienza. Eppure, questa terra di picchi e di voragini, di montagne e burroni, questa terra che sembra rossiccia come se fosse uscita dal fuoco di una fornace ancora accesa, questa terra di figure inquiete e di grandi silenzi, ci riserva delle sorprese. Dopo tutto siamo al sud e, all'improvviso, la landa fiorisce come una rosa e quello che somiglia ad una bolgia dell'inferno può rivelarsi un muro che dà sul giardino di uno stupendo chiostro fiorito; oppure si alza una nuvola da qualche valle estremamente desolata e si scorgono le colline del paradiso. Molte volte ci siamo arrampicate su qualche rupe della Maiella, ma siamo sbalzate giù prima di arrivare sulla cima più alta e nel discendere osservavamo la stretta striscia di pianura ad est, verso il mare. E' questa la terra selvaggia d'Abruzzo, separata dal resto dell'Italia dalla sua indomabile conformazione geografica e dal rigore del suo clima invernale. Recentemente essa è uscita dal suo isolamento ed è attraversata da una eccellente rete stradale, mentre alcune vie sono state ricostruite solo a distanza di molti secoli. La rete ferroviaria, al contrario, è povera ma costituisce una autentica meraviglia del mondo per il modo in cui aggira le alture, le sfalda le trafora, tanto che i treni sembrano rimanere appesi per miracolo alle loro pendici. ...” Da “Negli Abruzzi” di Anne Macdonell nella traduzione di Gisa Taurisani, a cura di Franco Cercone, per il Centro Studi “Panfilo Serafini”, Sulmona, 1992.
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