Il dipinto "La buona ventura", realizzato dall' artista a ventiquattro anni, nasconde un piccolo grande segreto. Un particolare straordinario rivela come il Merisi inauguro' la modernita'. I valori metafisci lasciano il posto alla realta' infima. E' ormai lontano il Rinascimento
che proprio a Roma aveva trionfato. Nel quadro di Caravaggio intitolato "La buona ventura", dipinto a Roma, probabilmente nel 1595 (il pittore ha ventiquattro anni), c' e' un piccolo segno che indica una vera rivoluzione in atto nella pittura - nel modo di pensare la pittura, nel modo di pensare il mondo. Questo segno non e' del tutto evidente. visibilissimo, intendiamoci. Ma puo' anche darsi che, sulle prime, si stenti a distinguerlo. Il quadro fa parte di quella pittura che si chiamava "di genere". Una pittura che veniva considerata inferiore poiche' non svolgeva come faceva la pittura "alta" temi ispirati alla mitologia, al Vecchio e al Nuovo Testamento, alle vite dei Santi, ma raccontava invece piccole storie della vita quotidiana. Storie e personaggi "bassi", dunque. Della stoffa - potremmo dire noi, oggi - di cui e' fatta la realta' . Il Caravaggio l' ha conosciuta, la pittura di genere, nell' ambiente tra Lombardia e Veneto in cui e' cresciuto e in cui si e' formato (frequentando, da quando era ancora un ragazzino di tredici o quattordici anni, la scuola del bergamasco Simone Peterzano, cosi' attento al dato naturale). E, certo, egli non guarda a quella pittura come a qualcosa d' inferiore. E' evidente che, per lui, il mondo, basso, della realta' non e' inferiore a quel mondo metafisico che sta sopra la testa degli uomini, nella dimensione della nobilta' e dello splendore, in alto, nel cielo degli dei, delle astrazioni etiche, poetiche. "Il Verbo (in quanto Valore assoluto) si e' fatto carne ed e' venuto ad abitare dentro di noi": questo potrebbe essere il motto della pittura del Caravaggio. Poiche' essa sembra dirci che il Valore non bisogna andare a cercarlo in altro tempo, in un altro spazio: ma qui, ora. Allora, per forza di cose, deve avere a che fare, il Valore, non solo con la pienezza della vita corporea ma anche con tutto il tragico e persino con tutto il miserabile che di quella vita corporea sono, nello stesso tempo, sostanza, esaltazione e tormento. E' lontano quel Rinascimento che, proprio a Roma, nei primi decenni del Cinquecento aveva visto un ultimo trionfo nell' illusione sublime del canone classicista di Raffaello, e subito dopo, nel 1527, la propria fine terribile, quando le truppe di Carlo V e i lanzichenecchi avevano invaso la citta' e l' avevano brutalmente saccheggiata. (Una rovina che aveva provocato la fuga disperata attraverso l' Italia e l' Europa degli allievi di Raffaello. Molti dei quali avrebbero finito per darsi, non per niente, alle sovraeccitazioni e ai turbamenti - psichici e formali - del Manierismo). Torniamo alla "Buona ventura". Vale la pena di notare che il titolo, e una lettura sommaria dell' opera, ci fanno pensare di essere davanti a una scena molto semplice - una di quelle scene in cui doveva capitare di imbattersi abbastanza di frequente per le strade di Roma verso la fine del Cinquecento. Una giovane donna, forse una zingara, ha fermato un giovanotto elegante e gli legge la mano. Ma questo e' soltanto lo schema narrativo del dipinto. Dentro, c' e' un piccolo racconto ben articolato. Guardate la faccia della donna, e poi guardate le sue mani. La ragazza, sporgendo la faccia per poter vedere sotto l' ala del cappello piumato, guarda in faccia il giovanotto. Sorride, furba, maliziosa - un po' come se lo volesse sedurre. Guardate come le dita della sua mano destra giocherellano sul palmo della mano del giovane. Lo solleticano, quasi. Torniamo a guardare le mani della ragazza, le sue dita. Soprattutto le dita della mano sinistra, chiusa intorno alla destra del giovane. Bene: la ragazza ha le unghie sporche, del tutto diverse dalle unghie, ben curate, del giovanotto. Viene in mente Dante, che nel XVIII dell' Inferno parla della puttana Taide che "la' si graffia con l' unghie merdose". E viene in mente anche una clausola del racconto di Cechov o di qualche scrittore contemporaneo "minimalista": "La ragazza aveva le unghie sporche". Stop. Fine. E a questo punto, che nessuno dica: "Tutto qui?". Perche' si tratta di un particolare assolutamente straordinario. Vi sembra eccessivo? Ma pensateci un momento. Riuscite a immaginare Leonardo, o Michelangelo, o Raffaello che con il pennello mettono un po' di sporco sulle unghie di una delle figure che stanno dipingendo? Nel mondo della pittura, fino a Caravaggio, le unghie non si sporcano. E' come se lo sporco non esistesse. Come se non lo si potesse neanche pensare. All' arte tocca un campo, una dimensione, dove la farraginosa complessita' del quotidiano non puo' entrare. Il tragico altissimo di Michelangelo e anche, nonostante tutto, di Raffaello (pensiamo alla sua "Trasfigurazione"), allo stesso modo di quella melanconia che sembra darsi come invenzione di Leonardo, manifestano la presenza di quell' ombra ansiosa che percorre tutto lo splendore del Rinascimento. Ma con Caravaggio - gia' , con quelle piccole unghie sporche - cambia ancora tutto. Quelle unghie sporche, potremmo persino azzardarci a dire, sono il segno paradossale dell' inizio del mondo contemporaneo. Proprio in quegli anni, Cervantes incomincia a scrivere il "Don Chisciotte", la storia di un eroe pazzo che crede disperatamente nella sopravvivenza dei vecchi Valori ideali, e del suo servo, un tipo terra terra, che le unghie, lui, non puo' averle che sporche, sporchissime. Un abbassamento, certo. Dall' alto, i famosi Valori planano verso il basso. La pittura e la letteratura non saranno piu' le stesse. Ma, in quel loro volgersi al basso, non si abbandoneranno, non si disperderanno. Perche' anche li' , nel basso, andranno in cerca della figura di un Valore. E il "selvaggio", il povero - il primitivo, comunque - saranno visti come i soli portatori di quel Valore. Innocenti. Autentici. E tali proprio perche' gravati dal peso intero, e piu' faticoso, dell' esistere. (Non diceva, il Vangelo, che "gli ultimi saranno i primi"?). Nel 1605, Caravaggio prendera' a modello per "La morte della Vergine" il cadavere di una povera annegata. I committenti, ecclesiastici, rifiuteranno il dipinto. "Indecoroso", lo definiranno. Chissa' che razza di "decoro" avevano in testa. Emilio Tadini a * La mostra: "La buona ventura" di Caravaggio fa parte della collezione della Pinacoteca Capitolina di Roma. Fino al 29 agosto e' esposta, a Milano, alla Pinacoteca di Brera, nella mostra "Il Seicento a Roma. Da Caravaggio a Salvator Rosa". Catalogo Electa.
Tadini Emilio
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