giovedì 7 giugno 2012

TEATRO ROMANO DI TERAMO, PER SAPERNE QUALCOSA IN PIU'


Per sapere qualcosa in più del nostro teatro romano vi trascrivo lo studio di Gaetano Messineo, pubblicato a pag. 133 del catalogo "Museo Civico Archeologico F. Savini - Teramo", pubblicato nel 2006. Uno studio dal linguaggio scientifico, ma che se letto con un briciolo di attenzione fa capire con chiarezza che del teatro romano purtroppo resta molto poco. Buona lettura.
(nell'immagine "la Divina in Blu" di Giovanni Boldini)


… La originaria suggestione di una città cresciuta sui resti romani che ne hanno condizionato lo sviluppo è ancora suggerita da una palazzetto (Palazzo Adamoli) rimasto sulla cavea e dall'allineamento delle case sopra i pochi elementi murari della scena.
Il teatro costruito verosimilmente nella prima metà del I secolo, risponde allo schema tipico del teatro romano: la cavea, ampia m 78 di diametro e probabilmente divisa in due sole sezioni da un diazoma, era interamente costruita, tranne nella parte inferiore dell'ima cavea che risulta appoggiata su un terrapieno o sul pendio naturale; come potè accertare Savini, la metà superiore dell'ima cavea poggiava su una gettata di opera cementizia conclusa da un muro continuo semianulare. Su quest'ultimo si innestavano 22 muri radiali che, con i pilastri dell'ordine esterno, disegnano in pianta le sostruzioni della summa cavea. I muri radiali sono costruiti nel settore più esterno in opera quadrata a blocchi bugnati di marna silicea, mentre la parte più interna è in gettate di opera cementizia con paramento in una sorta di opus incertum a filari di blocchetti di arenaria; i pilastri di testata in blocchi di marna reggono archi di undici conci, a profilo estradossato, la cui imposta è segnata da una cornice. Gli archi chiudono le volte a botte in calcestruzzo che coprono i 21 ambienti compresi tra muri radiali e si aprono su un ambulacro anulare delimitato all'esterno da una serie di pilastri, corrispondenti a quelli di testata dei muri anulari, costruiti in blocchi squadrati di calcare travertinico come le arcate poggianti su di essi; questa struttura, raddoppiata in un secondo ordine distinto da una cornice, costituiva la praecinctio del teatro, molto semplice e priva della consueta sovrapposizione di ordini in funzione decorativa; sia l'ambulacro che le arcate interne dovevano ripetersi anche nel secondo ordine. Nell'ambulacro inferiore, in parte conservato, ampio 2,4 m, tracce dei peducci in corrispondenza di ogni coppia di archi, esterno e interno, indicano una copertura con volte a crociera che portava l'altezza dell'ambulacro a metri 5,20 circa (l'ambulacro el secondo ordine doveva avere dimensioni leggermente inferiori, m 2,20 per un'altezza di poco oltre i 3 m). Sei degli ambienti simmetricamente distribuiti (alternati a tre chiusi sul fondo) accoglievano i vomitoria, con una rampa di scala che conduceva ad un pianerottolo lastricato in travertino posto all'incirca a metà altezza fra i piani pavimentali dei due ambulacri sovrapposti (a m 3 da quello inferiore), mentre da questo una seconda rampa (forse due rampe sui due fornici laterali) doveva condurre all'ambulacro superiore comunicante con la summa cavea. Nel nono ambiente da est rimangono in posto quattro dei gradini e la soglia in calcare travertinico, e da questi elementi si può ricostruire una rampa di 14 gradini, mentre la seconda rampa, per superare un dislivello di m 3,60, doveva avere 15 gradini. I due cunei estremi accoglievano le rampe lastricate di accesso all'orchestra (parodoi), di cui si conserva solo quella orientale.
I gradini della cavea sono completamente scomparsi, e solo quattro blocchi (delle dimensioni di cm 28 e 22 in altezza e profondità) furono recuperati dal Savini nell'orchestra; si è supposta una articolazione in 17 gradini nell'ima cavea e 10 nella summa cavea. Alcuni frammenti conservano i solchi di separazione dei posti e la relativa numerazione. Utili alla ricostruzione due gradini di uno degli itinera scalaria che suddividevano l'ima cavea, rinvenuti in posto a ridosso del margine inferiore della cavea (in blocchi di calcare travertinico) e in corrispondenza del quinto ambiente radiale da est; la loro posizione indica una divisione in cinque settori, tramite quattro itinera scalaria (se mancavano itinera alle estremità); due gradini a ridosso del muro di analemma orientale, in parte sovrapposti al ricordato margine della cavea, potrebbero costruire lo scalarium per il tribunal: lo confermerebbe la presenza di un incasso per il parapetto.
Della pavimentazione dell'orchestra (che ha un raggio di m 22,70 ed un canale sotterraneo per lo smaltimento delle acque) si conserva soltanto la fascia perimetrale in lastroni marmorei, con l'incasso per il balteo sul margine estreno, che costituiva la proedria. Particolarmente problematica la ricostruzione dell'edificio scenico, di cui è ben riconoscibile la fronte del pulpitum, mossa da nicchie alternatrivamente rettangorali e semicircolari rivestite di marmo, mentre pochi resti murari distanti da essa m 1,60 ne indicherebbero la profondità. Alla scena vera e propria sono da riferire le strutture tutt'altro che chiare rinvenute più a nord sotto gli edifici adiacenti la chiesa: vi si può comunque riconoscere la fronte articolata da sporgenze e rientranze simmetricamente alternate e supporre nelle tre nicchie rientranti le tre porte canoniche. La nicchia centrale risulta racchiusa in una più ampia esedra curvilinea, che sembra invadere il lungo corpo rettangolare retrostante suddiviso in più ambienti. Se la fronte del pulpitum doveva essere rivestita di marmo (rimane in posto qualche tratto della cornice di base, e frammenti di marmi policromi furono raccolti nell'orchestra dal Savini), in marna silicea era realizzato l'apparato decorativo dell'edificio scenico, cui erano pertinenti numerosi frammenti da tempo depositati nell'area stessa del teatro (magazzini di palazzo Adamoli): tra questi si è riconosciuta parte del rivestimento dello spigolo orientale della grande esedra centrale. Rimangono alcuni frammenti della lesena angolare scanalata e quasi per intero il relativo capitello corinzio, nonché il sovrastante elemento della ricca cornice a mensole alternate a cassettoni con motivi floreali o armi. Si è riconosciuto qualche frammento dell'architrave, ma nessuno del fregio: pertanto è forse leggittimo attribuire alla frons scenae del teatro, cui si adatterebbero per dimensioni, le lastre con armi (armi sono peraltro raffigurate tra le mensole della cornice) inserite nelle murature del Duomo, delle quali l'assenza di curvature esclude comunque l'attribuzione tradizionale all'anfiteatro (ovviamente potrebbero anche provenire da monumenti funerari). Alcune basi, un bel capitello corinzio e frammenti di capitelli ionici, nonché i numerosi elementi di colonne scanalate (in gran parte, sottolineva Savini, del diametro costante di m 0,68) potevano appartenere alla frons scaenae, che tuttavia è difficile immaginare nella ridondante ricostruzione di Cardellini e Montani: se il riconoscimento della decorazione angolare dell'esedra centrale esclude un colonnato in corrispondenza degli spigoli, si può comunque supporre che coppie di colonne, forse su due ordini, formassero semplici protiri o avancorpi al centro delle nicchie, entro le quali si sono immaginate figure di Muse, dal momento che si è ritenuto che raffiguri una Musa la bella statua rinvenuta nel 1940. Del tutto ipotetico anche il riferimento degli elementi della colonna, così come di fregi raffigurati (quelli con armi sopara ricordati) alla supposta porticus post scaenam.
Interamnia: edifici pubblici, edifici privati. Teatro.
di Gaetano Messineo
in Museo Civico Archeologico “F. Savini” - Teramo, 2006

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