Per sapere qualcosa in più del nostro teatro romano vi trascrivo lo studio di Gaetano Messineo, pubblicato a pag. 133 del catalogo "Museo Civico Archeologico F. Savini - Teramo", pubblicato nel 2006. Uno studio dal linguaggio scientifico, ma che se letto con un briciolo di attenzione fa capire con chiarezza che del teatro romano purtroppo resta molto poco. Buona lettura.
(nell'immagine "la Divina in Blu" di Giovanni Boldini)
… La originaria suggestione di una
città cresciuta sui resti romani che ne hanno condizionato lo
sviluppo è ancora suggerita da una palazzetto (Palazzo Adamoli)
rimasto sulla cavea e dall'allineamento delle case sopra
i pochi elementi murari della scena.
Il teatro costruito verosimilmente
nella prima metà del I secolo, risponde allo schema tipico del
teatro romano: la cavea, ampia m 78 di diametro e probabilmente
divisa in due sole sezioni da un diazoma, era interamente costruita,
tranne nella parte inferiore dell'ima cavea che risulta
appoggiata su un terrapieno o sul pendio naturale; come potè
accertare Savini, la metà superiore dell'ima cavea poggiava
su una gettata di opera cementizia conclusa da un muro continuo
semianulare. Su quest'ultimo si innestavano 22 muri radiali che, con
i pilastri dell'ordine esterno, disegnano in pianta le sostruzioni
della summa cavea. I muri radiali sono costruiti nel settore
più esterno in opera quadrata a blocchi bugnati di marna silicea,
mentre la parte più interna è in gettate di opera cementizia con
paramento in una sorta di opus incertum a filari di blocchetti
di arenaria; i pilastri di testata in blocchi di marna reggono archi
di undici conci, a profilo estradossato, la cui imposta è segnata da
una cornice. Gli archi chiudono le volte a botte in calcestruzzo che
coprono i 21 ambienti compresi tra muri radiali e si aprono su un
ambulacro anulare delimitato all'esterno da una serie di pilastri,
corrispondenti a quelli di testata dei muri anulari, costruiti in
blocchi squadrati di calcare travertinico come le arcate poggianti su
di essi; questa struttura, raddoppiata in un secondo ordine distinto
da una cornice, costituiva la praecinctio del teatro, molto
semplice e priva della consueta sovrapposizione di ordini in funzione
decorativa; sia l'ambulacro che le arcate interne dovevano ripetersi
anche nel secondo ordine. Nell'ambulacro inferiore, in parte
conservato, ampio 2,4 m, tracce dei peducci in corrispondenza di ogni
coppia di archi, esterno e interno, indicano una copertura con volte
a crociera che portava l'altezza dell'ambulacro a metri 5,20 circa
(l'ambulacro el secondo ordine doveva avere dimensioni leggermente
inferiori, m 2,20 per un'altezza di poco oltre i 3 m). Sei degli
ambienti simmetricamente distribuiti (alternati a tre chiusi sul
fondo) accoglievano i vomitoria, con una rampa di scala che
conduceva ad un pianerottolo lastricato in travertino posto
all'incirca a metà altezza fra i piani pavimentali dei due ambulacri
sovrapposti (a m 3 da quello inferiore), mentre da questo una seconda
rampa (forse due rampe sui due fornici laterali) doveva condurre
all'ambulacro superiore comunicante con la summa cavea. Nel
nono ambiente da est rimangono in posto quattro dei gradini e la
soglia in calcare travertinico, e da questi elementi si può
ricostruire una rampa di 14 gradini, mentre la seconda rampa, per
superare un dislivello di m 3,60, doveva avere 15 gradini. I due
cunei estremi accoglievano le rampe lastricate di accesso
all'orchestra (parodoi), di cui si conserva solo quella
orientale.
I gradini della cavea sono
completamente scomparsi, e solo quattro blocchi (delle dimensioni di
cm 28 e 22 in altezza e profondità) furono recuperati dal Savini
nell'orchestra; si è supposta una articolazione in 17 gradini
nell'ima cavea e 10 nella summa cavea. Alcuni frammenti
conservano i solchi di separazione dei posti e la relativa
numerazione. Utili alla ricostruzione due gradini di uno degli
itinera scalaria che suddividevano l'ima cavea,
rinvenuti in posto a ridosso del margine inferiore della cavea
(in blocchi di calcare travertinico) e in corrispondenza del quinto
ambiente radiale da est; la loro posizione indica una divisione in
cinque settori, tramite quattro itinera scalaria (se mancavano
itinera alle estremità); due gradini a ridosso del muro di
analemma orientale, in parte sovrapposti al ricordato margine
della cavea, potrebbero costruire lo scalarium per il
tribunal: lo confermerebbe la presenza di un incasso per il
parapetto.
Della pavimentazione dell'orchestra
(che ha un raggio di m 22,70 ed un canale sotterraneo per lo
smaltimento delle acque) si conserva soltanto la fascia perimetrale
in lastroni marmorei, con l'incasso per il balteo
sul margine estreno, che costituiva la proedria. Particolarmente
problematica la ricostruzione dell'edificio scenico, di cui è ben
riconoscibile la fronte del pulpitum, mossa da nicchie
alternatrivamente rettangorali e semicircolari rivestite di marmo,
mentre pochi resti murari distanti da essa m 1,60 ne indicherebbero
la profondità. Alla scena vera e propria sono da riferire le
strutture tutt'altro che chiare rinvenute più a nord sotto gli
edifici adiacenti la chiesa: vi si può comunque riconoscere la
fronte articolata da sporgenze e rientranze simmetricamente alternate
e supporre nelle tre nicchie rientranti le tre porte canoniche. La
nicchia centrale risulta racchiusa in una più ampia esedra
curvilinea, che sembra invadere il lungo corpo rettangolare
retrostante suddiviso in più ambienti. Se la fronte del pulpitum
doveva essere rivestita di marmo (rimane in posto qualche tratto
della cornice di base, e frammenti di marmi policromi furono raccolti
nell'orchestra dal Savini), in marna silicea era realizzato
l'apparato decorativo dell'edificio scenico, cui erano pertinenti
numerosi frammenti da tempo depositati nell'area stessa del teatro
(magazzini di palazzo Adamoli): tra questi si è riconosciuta parte
del rivestimento dello spigolo orientale della grande esedra
centrale. Rimangono alcuni frammenti della lesena angolare scanalata
e quasi per intero il relativo capitello corinzio, nonché il
sovrastante elemento della ricca cornice a mensole alternate a
cassettoni con motivi floreali o armi. Si è riconosciuto qualche
frammento dell'architrave, ma nessuno del fregio: pertanto è forse
leggittimo attribuire alla frons scenae del teatro, cui si
adatterebbero per dimensioni, le lastre con armi (armi sono peraltro
raffigurate tra le mensole della cornice) inserite nelle murature
del Duomo, delle quali l'assenza di curvature esclude comunque
l'attribuzione tradizionale all'anfiteatro (ovviamente potrebbero
anche provenire da monumenti funerari). Alcune basi, un bel capitello
corinzio e frammenti di capitelli ionici, nonché i numerosi elementi
di colonne scanalate (in gran parte, sottolineva Savini, del diametro
costante di m 0,68) potevano appartenere alla frons scaenae,
che tuttavia è difficile immaginare nella ridondante ricostruzione
di Cardellini e Montani: se il riconoscimento della decorazione
angolare dell'esedra centrale esclude un colonnato in corrispondenza
degli spigoli, si può comunque supporre che coppie di colonne, forse
su due ordini, formassero semplici protiri o avancorpi al centro
delle nicchie, entro le quali si sono immaginate figure di Muse, dal
momento che si è ritenuto che raffiguri una Musa la bella statua
rinvenuta nel 1940. Del tutto ipotetico anche il riferimento degli
elementi della colonna, così come di fregi raffigurati (quelli con
armi sopara ricordati) alla supposta porticus post scaenam.
Interamnia: edifici pubblici, edifici
privati. Teatro.
di Gaetano Messineo
in Museo Civico Archeologico “F.
Savini” - Teramo, 2006
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