Molti mi hanno chiesto di Tuccaro; per saperne un pò di più del libro, della traduzione e di Tuccaro stesso, vi trascrivo l'introduzione di Ivelise Betti, che ha avuto la passione, la costanza, la capacità di tradurre il volume, dal francese antico e anche un pò sgrammaticato, di Tuccaro.
IL
FORTUITO “INCONTRO” CON ARCANGELO TUCCARO
E
LA COINVOLGENTE TRADUZIONE DEL SUO TRATTATO
Ivelise
Betti
La
traduzione di questo libro nasce da passione e non da altro; e forse
è il caso didire
che nulla accade per caso. È
stato nel lontano
1992 che Siriano, mio marito, ha incontrato per la prima voltaArcangelo Tuccaro “aquilano”, in un vecchio libro di fisiologia (M. Boigey, Physiologie de la culture physique et des sports, Ed. Albin Michel, Parigi, 1927). Appassionati di abruzzesistica, più lui che io, in verità, ci dedicavamo, nel tempo lasciato libero dalla nostra professione di medici, alla ricerca e allo studio dei testi antichi, pubblicando, tramite la nostra associazione culturale “Il Poliorama”, copie anastatiche, traduzioni e organizzando convegni. Nulla sapevamo di Tuccaro ma il fatto che un aquilano del XVI secolo avesse scritto un’opera sull’ “arte di saltare e volteggiare nell’aria”, ci aveva molto incuriosito. Poche le notizie sulla sua vita e poche le copie del suo Trois dialogues de l’art de sauter e voltiger en l’air esistenti al mondo, come se un alone di mistero avvolgesse Arcangelo e la sua opera. Poi la notizia della presenza di una copia nella Biblioteca Nazionale di Firenze, la delusione nel non reperirne la scheda e la successiva meraviglia nel rinvenirla in modo totalmente fortuito nel classificatore della lettera “R”. Tuccaro, nella grafia corsiva era stato letto come Ruccaro e solo il caso aveva fatto sì di aprire quel cassetto e non un altro. Ancora oggi ho piacere di pensare che sia stato Tuccaroa trovare noi e non noi lui. L’opera era bellissima e nessuno l’aveva mai tradotta. Così è cominciata la mia avventura, un lungo lavoro su fotocopie ricavate da un microfilm (solo dopo molti anni siamo riusciti ad entrare in possesso di una delle rare copie del libro), appassionante ma certamente non facile. Il francese di Tuccaro è quello di una persona certamente non colta, grammaticalmente non corretto, reso più difficile dal frequente ricorso a molteplici
1992 che Siriano, mio marito, ha incontrato per la prima voltaArcangelo Tuccaro “aquilano”, in un vecchio libro di fisiologia (M. Boigey, Physiologie de la culture physique et des sports, Ed. Albin Michel, Parigi, 1927). Appassionati di abruzzesistica, più lui che io, in verità, ci dedicavamo, nel tempo lasciato libero dalla nostra professione di medici, alla ricerca e allo studio dei testi antichi, pubblicando, tramite la nostra associazione culturale “Il Poliorama”, copie anastatiche, traduzioni e organizzando convegni. Nulla sapevamo di Tuccaro ma il fatto che un aquilano del XVI secolo avesse scritto un’opera sull’ “arte di saltare e volteggiare nell’aria”, ci aveva molto incuriosito. Poche le notizie sulla sua vita e poche le copie del suo Trois dialogues de l’art de sauter e voltiger en l’air esistenti al mondo, come se un alone di mistero avvolgesse Arcangelo e la sua opera. Poi la notizia della presenza di una copia nella Biblioteca Nazionale di Firenze, la delusione nel non reperirne la scheda e la successiva meraviglia nel rinvenirla in modo totalmente fortuito nel classificatore della lettera “R”. Tuccaro, nella grafia corsiva era stato letto come Ruccaro e solo il caso aveva fatto sì di aprire quel cassetto e non un altro. Ancora oggi ho piacere di pensare che sia stato Tuccaroa trovare noi e non noi lui. L’opera era bellissima e nessuno l’aveva mai tradotta. Così è cominciata la mia avventura, un lungo lavoro su fotocopie ricavate da un microfilm (solo dopo molti anni siamo riusciti ad entrare in possesso di una delle rare copie del libro), appassionante ma certamente non facile. Il francese di Tuccaro è quello di una persona certamente non colta, grammaticalmente non corretto, reso più difficile dal frequente ricorso a molteplici
sinonimi,
evidentemente nel tentativo di raggiungere una più perspicua
chiarezza. Le
proposizioni sono estremamente involute, eccessivamente lunghe e non
sempre di
chiara interpretazione. Alquanto scorretta la stampa, soprattutto per
quanto riguarda
l’uso delle maiuscole e della punteggiatura. Alcune parole sono
termini italiani
francesizzati e questo dimostra la scarsa conoscenza della lingua da
parte del Tuccaro.
Ho cercato di rendere la traduzione il più possibile fedele al
testo, evitando ammodernamenti,
preferendo il rischio di renderlo in modo letterale a quello di ricorrere
a parafrasi e a libere interpretazioni che avrebbero potuto storcerne
il senso
ed esprimere piuttosto una scarsa comprensione della tematica. Mi
sono inoltre sforzata di ricostruire per il lettore italiano moderno
la stessa impressione
che dal testo originale dovrebbe ricevere il lettore francese,
lasciando quindi
l’andamento non sempre lineare e agile dei periodi e cercando al
tempo stesso di non oscurarne la chiarezza. Spero comunque di aver
raggiunto lo scopo di far
conoscere un’opera straordinaria, una delle più importanti opere
cinquecentesce sull’arte
ginnastica.Tre
Dialoghi sull’esercizio di saltare e volteggiare nell’aria, è
un volume di 197 carte, numerate in verso, pubblicato nel 1599, a
Parigi, dall’editore
Claude de Montr’Oeil. L’opera contiene una dedica al Re, un
sonetto, un
avvertimento al lettore, tre Dialoghi e ottantotto illustrazioni di
cui una su due facciate. Nella
dedica al Re Enrico IV, dopo aver ricordato la stima e la
considerazione in
cui, in ogni tempo, erano stati tenuti gli esercizi fisici e di come
essi avessero sempre
concesso fama e gloria a chi li praticava degnamente e virtuosamente
nelleOlimpiadi,
Tuccaro tesse le lodi di Carlo IX, predecessore di Enrico IV, per il
quale l’opera
è stata scritta, come manuale pratico di istruzione. Il giovanissimo
Re di Francia,
allora ventenne, era un appassionato cultore di ogni esercizio fisico
e di
ogni sport, era agile e allenato sia nella scherma che nella lotta,
nel montare a cavallo,
nel torneare e nella corsa, ma anche in ogni tipo di danza. Quindi
Tuccaro parla
del salto da lui inventato, il Cubistico, che definisce “ di una
destrezza incredibile”,
salto che gli ha procurato tale fama da meritare un posto onorevole presso
l’Imperatore Massimiliano II e successivamente presso Re Carlo IX.
Termina infine
con una supplica ad Enrico IV affinché voglia ricevere “dal suo
umilissimo e obbedientissimo
suddito” la sua opera. Alla
dedica al Re segue un bellissimo sonetto di Beauvois de Chauvincourt,
scrittore poco
conosciuto, autore anche di Discorsi
della licantropia o della trasformazione dell’uomo
in lupo (Parigi,
1599), che magnifica la bellezza del salto, non opera di magia,
ma frutto della destrezza del dotto ed esperto Arcangelo. All’
“Amico lettore” sono dedicate le scuse per un’opera imperfetta,
non limata e
forbita come avrebbe potuto essere, se non fosse andata “rovinata e
smarrita” a causa
della guerra, se l’autore non avesse dovuto seguire la Corte e se
fosse stato nativo
francese. Il
primo Dialogo si apre sullo scenario del Castello di Honoré Signore
di Fontaines, in
Turenna, dove la Corte si è fermata per soggiornare dopo le nozze di
Carlo IX con
Isabella d’Austria (in realtà Elisabetta) figlia dell’Imperatore
Massimiliano II, avvenute
a Mezieres, vicino al confine, per l’impossibilità di raggiungere
Parigi a causa
della stagione piovosa e delle strade impraticabili. Arcangelo
Tuccaro vi è giunto
al seguito della Regina per ordine dell’Imperatore Massimiliano II.
In una sala
non lontana dal Castello si riuniscono molti gentiluomini italiani e
francesi fra
i quali Ferrante, italiano molto dotto, Battista Bernardo, notissimo
saltatore, Carlo
Tetti, gentiluomo napoletano giunto in Francia al seguito della
Regina e Cosimo
Ruggieri, fiorentino, famoso medico, astrologo e consigliere di
Caterina dei
Medici, madre di Carlo IX. Ruggieri chiede a Battista notizie di
Arcangelo, chiamandolo
Palestrita. Nasce così una dotta discussione sul nome da attribuire al
grande acrobata, seguita dalla descrizione degli esercizi di
ginnastica in usopresso gli antichi, con riferimenti al pensiero di
illustri filosofi come Aristotele, Platone
(VII libro delle leggi) e Socrate e alle teorie dei più grandi
medici del passato,
Galeno e Ippocrate. Fra i vari tipi di esercizi viene citato anche il
gioco della
pallacorda, molto in voga in Francia nel secolo XVI, che consisteva
nel lanciare
la palla con la mano oltre una corda che delimitava il campo
avversario. Il
primo Dialogo si conclude con un’accesa disputa sulla lode e sul
biasimo della danza.
Vengono riportati, fra gli altri pareri autorevoli, quelli di
Sant’Agostino, di Sant’Ambrogio,
di Alfonso Re d’Aragona, di Tiberio e dell’Imperatore Federico III
che consideravano il ballo vizioso e sorgente di ogni male e folli le
persone che
ne facevano pratica. Di opinione contraria altri illustri personaggi
del passato,
fra
i quali il Re Davide, Aristotele e Socrate che lodavano l’esercizio
della danza ritenendola
onesta e virtuosa. Nel
secondo Dialogo si discute su quale sia l’età più conveniente per
cominciare a saltare
e sul comportamento che deve avere il maestro per insegnare l’arte
al piccolo allievo.
Segue una accurata descrizione dei vari tipi di salto accompagnati
dalla loro dimostrazione
pratica, effettuata da Arcangelo e da Pino suo discepolo. Infine la spiegazione
e l’esecuzione del salto cubistico, inventato dallo stesso
Arcangelo, del quale
egli ha stabilito le regole, che consiste nel passare, volando,
attraverso dieci cerchi
tenuti in alto da dieci persone. Il
terzo Dialogo tratta dell’esercizio fisico in generale, della sua
utilità nel ritrovare e
conservare la salute e di come debba essere eseguito, secondo i
dettami di Galeno e
di Girolamo Mercuriale, in modo moderato, tenendo conto dell’età e
della complessione
fisica di ogni individuo. Le costituzioni sono descritte dal grande medico
olandese Levinius Lemnius (1505-1568), allievo di Vesalio, nel suo
trattato intitolato
appunto Delle
Complessioni,
nel quale indica quattro tipi di individui, il sanguigno,
il collerico, il flemmatico e il melanconico. Il
Dialogo si conclude con le parole di Arcangelo che congeda gli
astanti, vista l’ora tarda
e la necessità di partire presto la mattina dopo per il castello di
Vau-jours, appartenente
al conte di Sanserre, dove il Re aveva intenzione di recarsi per la caccia
al cervo. Si
conclude così un’opera straordinaria che non è solo un trattato,
forse il primo, in cui
il salto una volta esercitato solo da giocolieri e attori di farse
nei mercati, nelle osterie
e nelle locande, sia stato nobilitato al rango di arte ginnica; ma
insieme un mirabile
documento storico – filosofico dell’epoca.
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